La progressione della malattia è difficile da descrivere. Nessun referto medico può spiegare il peggioramento che sto vivendo. Alcuni medici mi hanno proposto le cure palliative, ma come reagirebbe il mio corpo? Il mio intestino neurologico è già compromesso, e le conseguenze degli oppiacei potrebbero essere devastanti. Come affrontare tutte queste sofferenze senza soluzioni semplici? In un episodio recente, ero rannicchiata sul letto mentre l’assistente mi aiutava, con il letto coperto da traverse. Alla fine, scoppiavo in lacrime ansimanti. Queste esperienze rendono difficile raccontare il peggioramento della malattia. Come trasmettere il cambiamento in pochi mesi? La progressione è un obiettivo mobile, difficile da catturare nei referti medici. Il corpo deve essere sentito, vissuto. Solo chi lo vive può comprendere appieno.
Nel centro storico durante il Festival del giornalismo, mi ritrovo a riflettere sulla mia presenza qui, un evento annuale che ancora mi spinge a partecipare. Quest’anno, però, è una versione ridotta: solo pochi incontri, quasi miracolati. Stefano ha fatto di tutto per accompagnarmi, sostituendo l’assistente. “Possiamo uscire dopo l’incontro, amore?” – mi chiedo, ma l’ininterrotta fuga urinaria mi disturba da prima, rendendo difficile interagire. “Va bene, ma possiamo fermarci rapidamente? Devo sistemarmi prima di prenderti cura di te per un paio d’ore.” – “Certo, nessun problema”, risponde.
Ma il disagio continua. Da diversi mesi, le infezioni causate dal cateterismo hanno reso la situazione ancora più complicata. Chiazze di urina a casa al risveglio, sul letto, addosso. Anche se esco ben protetta, la sensazione non è piacevole e persiste. E poi il dolore. La schiena fa male da morire, devo staccarmi dallo schienale ma il tronco cede e cado in avanti. Le ossa del bacino fanno male, soprattutto nella zona dell’appoggio ischiatico, nonostante i migliori cuscini antidecubito. E c’è anche la lesione al coccige, fratturato per sempre dopo una brutta caduta.
Il dolore e i fastidi non mi lasciano tregua. Anche quando incontro persone, vorrei evitare i saluti non perché sono asociale, ma perché prego di non dover trascorrere troppo tempo. Quando torno a casa, la routine implica un bisogno immediato di assistenza, senza possibilità di riposo immediato. “Come fai a farlo?” – mi chiedo, quando un’ora di incontro mi distrugge e il corpo reagisce con dolori, spasmi e incontinenza. La fatica è costante, non c’è mai abbastanza energia.