Esce il terzo album solista, Semplice. “I live? Voglio esserci”
Con due dischi alle spalle e altrettante Targhe Tenco (Miglior Opera prima nel 2016 con La fine dei Vent’anni e miglior Disco in assoluto tre anni fa con Vivere o Morire), la pressione si farebbe sentire per chiunque. Ma Motta, che il 30 aprile pubblica “Semplice” (su etichetta Sugar), non sembra lasciarsi sopraffare dall’ansia e dalle aspettative di ripetersi.
“No, niente ansia, né vertigini. Ne ho avute di più con il secondo lavoro, ma ho capito che troppi pensieri, seppure non fanno male, tolgono la libertà di espressione. Ho lavorato senza sentirmi costretto a rispettare una determinata struttura“, racconta il polistrumentista e cantautore toscano, che da qualche tempo si è fatto adottare dalla Capitale, dove ha anche registrato e prodotto (insieme a Taketo Gohara) il nuovo lavoro.
Le canzoni sono nate prima della pandemia (anche se rimaneggiate e qualcuna alla fine è rimasta nei cassetti, come Dov’è l’Italia, il brano presentato a Sanremo due anni fa), eppure, come rivela già il titolo del disco, l’attenzione è tutta concentrata sui dettagli, sulle piccole cose, sull’importanza di ogni attimo vissuto in un mondo che corre e ci sfugge dalle mani. “Il tempo dilatato del lockdown mi ha permesso di chiedermi perché faccio questo mestiere. Ho avuto la possibilità, dopo aver corso senza sosta per anni, di fermarmi. E ogni tanto è necessario per metabolizzare quello che si vive“. A 35 anni, il combinato nuova maturità-pandemia, lo ha costretto dunque a riflettere, “come tutti, ma poi la risposta è sempre la stessa, faccio questo mestiere perché è la mia vita, è il mio ossigeno“.
E anche a riconsiderare il suo rapporto con la musica: “Non ho scritto, non trovavo le parole per descrivere la realtà, perché la realtà non c’era. Ad un certo punto, ho avuto paura. Paura di avvicinarmi alla chitarra, perché nella situazione che stavamo vivendo non sentivo più credibile l’idea che la musica salvasse la vita. Poi mi sono reso conto che aveva salvato la mia. E quel tormento che avevo sempre dentro si è pacificato“. Motta non dimentica gli inizi con i Criminal Jokers (c’è anche un riferimento “a quei pochi di 10 anni fa” in A te), “per ricordarmi da dove vengo, quando non avevamo niente, ma niente ci bastava. Un modo per ringraziare quello che abbiamo fatto in quel tempo“. E allora la protagonista è lei, si prende spazio, tempo, pensieri, attenzione. Motta lascia che a parlare siano le canzoni, che cogliendo stati d’animo, emozioni, immagini fugaci, più che raccontare una storia tratteggiano un’interiorità che dialoga con se stessa e riflette sulle proprie incongruenze e contraddizioni per poi accoglierle in un abbraccio.
Tra i brani, anche una collaborazione con Dario Brunori (Quando guardiamo una rosa), che chiude l’album ed è l’unica scritta nell’era covid. “Semplice” (“mi sono reso conto di quanto ricorresse questa parola nei testi, ed è stato naturale sceglierla come titolo. La semplicità, come leggerezza, è un punto di arrivo non di partenza”) è un disco suonato, energico che con le sue stratificazioni sonore recupera la dimensione live, da mesi impossibile da replicare. Ma Motta non si tira indietro e, nella speranza che la situazione migliori, oltre alla partecipazione al Concerto del Primo Maggio, ha annunciato le prime due date di un tour estivo (il 21 luglio al Carroponte di Milano e il 10 settembre all’Auditorium Parco della Musica a Roma). “Io ci sarò, voglio esserci, in qualsiasi situazione. E’ una responsabilità da artista esserci – rivendica -. Il coprifuoco alle 22 è un problema, ma sono fiducioso che verrà modificato. C’è in ballo il futuro del settore, con centinaia di maestranze che stanno cambiando mestiere per l’impossibilità di lavorare. Le manifestazioni come quella dei Bauli in piazza sono potentissime. Servono per farci sentire, ma anche per far capire l’organizzazione che c’è dietro“.
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