I concerti in streaming, senza pubblico, costruiti come degli eventi dedicati a chi segue la musica sugli schermi dei propri device, stanno prendendo sempre di più una forma interessante. Sgombriamo il campo da un equivoco: i concerti in streaming sono concerti, non simulazioni di concerti, sono esibizioni dal vivo costruite in maniera diversa da quelli ai quali fino a poco più di un anno fa potevamo assistere. Non sono nemmeno dei palliativi, ma delle occasioni originali nelle quali le band e gli artisti possono, a loro modo, creare una interessante condizione di ascolto della propria musica. Siamo all’inizio, anche in questo caso, di qualcosa che prenderà forme più diverse e probabilmente anche più originali con il passare del tempo, ma di certo quello che fino a poco fa era la norma, ovvero trasmettere via Internet delle dirette di concerti veri e propri, con tanto di pubblico urlante, essendo oggi impossibile ha costretto gli artisti a ragionare in maniera differente.
Quello dei Maroon 5, per la serie American Express Unstaged, è stato un live in bilico tra passato e presente. Passato perché alla fin fine possiamo dire che si è trattato di un classico concerto realizzato in uno studio televisivo, niente palcoscenico, qualche interazione con il pubblico (vera o falsa che fosse) con le domande mandate da casa, e un’atmosfera meravigliosamente rilassata. Presente, perché il set dei Maroon 5, proprio perché non era poi davvero uno show televisivo, era costruito in uno spazio che non era un palco, non era un club, non era uno studio, ma più ragionevolmente un “ambiente” in cui la band era a proprio agio, con elementi di scenografia che andavano d’accordo con l’immaginario pop del gruppo.
E non c’era nemmeno l’atmosfera da club, che comunque avrebbe fatto pensare a un “concerto” di tipo tradizionale. Tutto sufficientemente “piccolo”, a misura d’uomo, senza nulla del gigantismo dei concerti delle ultime stagioni, niente effetti speciali, niente superluci, null’altro, alla fine, che la musica e le canzoni. Oltretutto nel set della band, poco più di un ora, sono passati quattordici pezzi imbattibili, solo hit single, perfettamente calibrati dunque per non far calare la tensione di chi era a casa, per mantenere alta l’attenzione di chi magari aveva attorno bambini, mariti, figli e cani, o stava preparando la cena all’orario del concerto, come è facile immaginare sia accaduto a qualcuno. La band di Adam Levine è una perfetta macchina pop che nella dimensione live trova la sua forma migliore d’espressione, riportando ogni canzone, ogni brano, in una dimensione comunicativa diretta, immediata, veloce, “consumabile”, ma al tempo stesso sufficientemente raffinata ed elegante, mettendo in luce le doti dei diversi componenti della band (e in particolare del chitarrista James Valentine), capaci di dare profondità sonora anche ai brani più volatili. Un “best of”, dunque, serrato e divertente, una sorta di biglietto da visita del gruppo, concentrato e mai noioso, sorretto ottimamente da un Adam Levine in gran forma, che ha condotto lo show cercando di trasformarlo in un dialogo con il pubblico assente, senza mai farne sentire la mancanza.
Ernesto Assante, Repubblica.it