Tra quelli che a Natale preferiscono riguardarsi Mamma ho perso l’aereo e quelli impegnati a ritrovare il dvd perduto di Parenti serpenti, il capolavoro di Mario Monicelli inspiegabilmente introvabile sulle piattaforme streaming, noi facciamo decisamente parte dei secondi. Il film, uscito nel 1992 e diventato, soprattutto grazie al passaparola, un piccolo cult, è un titolo scomodo, sconveniente, pruriginoso: siamo talmente abituati ad associare le feste al clima idilliaco che ci raccontano le pubblicità da dimenticarci che, spesso, è proprio la tavola con tutti i parenti seduti a lottare per l’ultima fetta di salmone affumicato il terreno fertile per i conflitti e i veleni trattenuti o mascherati durante l’anno. Monicelli, un maestro che nel corso della sua brillante carriera ci ha regalato capolavori assoluti come I soliti ignoti, La ragazza con la pistola e Amici miei, lo ha capito prima degli altri, scegliendo di raccontare il Natale e il Capodanno per quello che sono: un campo minato sul quale è molto probabile che le maschere cadano e la verità venga a galla.
Parenti serpenti, che in origine avrebbe dovuto vedere tra gli interpreti anche Giorgio Gaber, che rifiutò il ruolo di Alfredo andato poi ad Alessandro Haber, racconta la storia di una famiglia che, in occasione del Natale, si riunisce a Sulmona, nella casa dei genitori, per trascorrere insieme le feste. Saverio (Paolo Panelli), vicebrigadiere dei carabinieri in congedo affetto da una lieve forma di demenza, e Trieste (Pia Velsi), nonna energica e arzilla, si trovano, così, ad accogliere i loro quattro figli e le rispettive famigliepermettendo allo spettatore di fare la conoscenza di personaggi credibili che potrebbero effettivamente campeggiare in ogni tavolata che si rispetti. Da Milena (la grande Monica Scattini), appassionata di quiz televisivi e depressa per non poter avere figli, ad Alessandro (Eugenio Masciari), impiegato delle Poste dalle idee comuniste e con una moglie libertina che le cognate mal sopportano per la sua esuberanza; da Monica, ragazzina sovrappeso che sogna di diventare un domani una ballerina di Fantastico, ad Alfredo, professore di italiano di un istituto femminile di Como celibe e senza figli.
L’ordinaria routine natalizia scandisce i tempi in maniera ordinata tra il cenone della Vigilia, la messa di mezzanotte, la tombolata e lo scambio dei regali, finché, tutt’un tratto, Trieste e Saverio decidono di dire ai figli che non se la sentono più di continuare ad abitare da soli e che vorrebbero essere ospitati da uno di loro. Il conflitto parte da qui: saranno gli stessi figli a decidere chi accollarsi mamma e papà, con la promessa di ricevere in cambio una parte della loro pensione e la loro casa in eredità. Il finale, uno dei più amari e geniali del cinema italiano, non ve lo diciamo per paura di spoiler, anche se siamo abbastanza certi che sia proprio questo il motivo che ha gettato su Parenti serpenti quell’aura innominabile che lo ha trasformato in un titolo stridente cui per molti è sempre stato meglio preferire il più rassicurante Una poltrona per due. In anticipo di decenni, Monicelli ha raccontato per primo il cinismo famigliare con una precisione e una freddezza esemplari, ed è un peccato non solo che il film non sia disponibile sulle piattaforme, ma anche che sia stato rivalutato dall’opinione pubblica solo a distanza di anni (nel 1992 non si portò a casa neanche il David per la sceneggiatura scritta da Carmine Amoroso insieme a quel genio di Suso Cecchi D’Amico). È tempo di riscoprirlo e di pubblicizzarlo come merita, sia mai che l’anno prossimo, anziché ripetere a memoria le battute di Macaulay Culkin, non gridiamo a squarciagola «è un oggetto fine per gente di classe».
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