Nella top ten dei titoli più visti della piattaforma spicca la pellicola in cui l’ex Batman interpreta un alcolista disperato. Una storia molto (troppo?) vicina alla sua.
Se ci fosse un record per la velocità con cui ci si scola una birra, allora Ben Affleck lo infrangerebbe di sicuro. O meglio Jack, il suo personaggio in Tornare a vincere, il film appena uscito su Netflix e già presente nella top ten dei titoli più visti in Italia.
Spesso ubriaco fradicio, barcolla nel bar ed entra per sbaglio nelle case altrui dopo aver tamponato un pick-up mentre guida in stato di ebbrezza. Gonfio per l’alcool, incapace di pensare lucidamente e con un matrimonio mandato all’aria di recente.
Ricorda qualcosa? Non è un caso, infatti, perché la trama del film – se si esclude l’aspetto sportivo – sembra ricalcare, in un incredibile gioco di specchi, il vissuto dell’attore Premio Oscar, che peraltro proprio di recente è tornato a parlare dei suoi problemi di alcolismo e della separazione da Jennifer Garner, madre dei suoi tre figli Violet, Seraphina e Samuel (16, 12 e 9 anni). Nel frattempo ha ricominciato a frequentare la storica ex Jennifer Lopez, che prova a tenersi fuori dalle faide familiari altrui.
Anche per questo il film diretto da Gavin O’Connor ha subito suscitato una pruriginosa curiosità da parte del pubblico: si vede Affleck appesantito, messo in ginocchio dalla vita e allo sbando e quell’immagine sullo schermo richiama immediatamente parte del suo vissuto. Ecco, allora, che la finzione sfocia nel verosimile e strizza mestamente l’occhio alla realtà, rendendo praticamente impossibile allo spettatore volgere lo sguardo altrove.
Affleck è coinvolto nel progetto su più fronti e lo abbraccia infatti anche come produttore esecutivo, a riprova di una vicinanza personale al tema trattato. Avrebbe potuto abbracciare la retorica e cavalcare l’onda lunga della contrizione, invece no.
Il suo Jack, infatti, è di poche parole (ma di molte parolacce) e agisce prima di pensare. Quando il vecchio preside del liceo gli propone di allenare una disastrata squadra di basket maschile non ha nessuna intenzione di tornare sul campo di pallacanestro che alle superiori lo aveva fatto sentire invincibile. Dopo qualche rimostranza iniziale, si vede che tocca il fondo e quindi prova a dare un senso alla vita sforzandosi di motivare questi ragazzi.
Le motivazioni e le conseguenze si vedono man mano che la storia prende forma, ma quello che conta è che in questo caso il suo passato glorioso non lo esenta dal prendersi delle responsabilità, non lo scherma dal dolore né diventa un alibi per gli sbagli presenti.
Una volta tanto, insomma, non basta far ammenda per azzerare i conti con il passato e forse proprio di questo il protagonista ha voglia di parlare in questo progetto. Non sembra che Ben Affleck voglia dimenticare gli eccessi e gli errori, ma cercare di conciliarsi con la propria natura e con gli istinti che troppo spesso hanno preso il sopravvento.
Jack è un uomo comune, una brava persona a cui la vita ha portato un conto troppo salato da pagare in termini di sofferenza e perdita. E no, da solo non ce la fa proprio ad andare avanti perché non ne vede il motivo, quindi si annebbia con la bottiglia e cerca di non pensarci.
Stavolta, invece, in ballo non c’è solo il suo di futuro ma anche quello di un gruppo di giovani che potrebbero combinare davvero qualcosa di buono su questa terra (ed evitare la galera).
Non si sa bene perché il personaggio accetti il ruolo di coach della squadra. Lo fa e basta, ma senza voler dimostrare nulla. Le indubbie doti sul campo, però, non fanno dimenticare i suoi scatti d’ira né gli improperi o le assenze ingiustificate. Quando si rifiuta di chiedere aiuto e si isola decide di non volere altre chance.
Ancora una volta l’attore deve aver pensato di capire perfettamente lo stato d’animo di quest’uomo. A parte il conto in banca, hanno molto, moltissimo in comune e questa verità di fondo regala un valore aggiunto al racconto.
C’è onestà nelle parole di Jack: si sente la necessità di ridurre al minimo orpelli e infiocchettamenti per arrivare al cuore della questione, la dipendenza.
Lo sport come riscatto è una delle metafore più usate nella settima arte, ma stavolta dietro quei rimbalzi di palla sul campo ci sono davvero demoni e scheletri nell’armadio.
E no, non si fa leva su frivoli romanticismi in cui c’è sempre uno dei due nella coppia che salva l’altro. Qui o ti salvi da solo o sei fuori. Le chance di riserva sono a numero limitato, proprio come nella vita.
Ecco perché, pur non essendo un tema nuovo o non avendo una declinazione particolarmente originale, Tornare a vincere piace e convince.
VanityFair.it