SHIRLEY MACLAINE, LA REGINA DI HOLLYWOOD: “UNA VITA PRIVILEGIATA NON È UN DIRITTO”

SHIRLEY MACLAINE, LA REGINA DI HOLLYWOOD: “UNA VITA PRIVILEGIATA NON È UN DIRITTO”

Incontro con l’attrice, 83 anni ad aprile. Con 60 anni di carriera e un Oscar è tra le star più rispettate e considerate. “Ero la cocca di Hitchcock e di Joan Crawford”

Shirley MacLaineShirley MacLaine compirà 83 anni il 24 aprile e continua a lavorare come nulla fosse. Una leggenda, amatissima regina di Hollywood. Una carriera lunga 60 anni, quasi cento film, 6 candidature agli Oscar (vinto nel 1984 per Voglia di tenerezza), 19 candidature e 5 vittorie ai Golden Globe, più il Cecil B. De Mille alla carriera. MacLaine, sorella maggiore di Warren Beatty, pensava di averle viste tutte nella vita, ma certo non si aspettava quel che è successo durante la premiazione degli Oscar, quando proprio il suo fratellino (di 3 anni più giovane) ha lasciato a Faye Dunaway l’onere di annunciare il “miglior film” sbagliato (La La Land invece di Moonlight): abbiamo visto MacLaine, in platea, spalancare la bocca, portarsi le mani al volto, in un gesto di genuino shock. “È stato un errore terribile”, dice pochi giorni dopo, durante il nostro incontro a Los Angeles. “Non potevo credere ai miei occhi. Ho subito pensato alla pena che doveva aver provato Warren, povero! Preferisco, come vorrebbe lui, mettere questo increscioso episodio alle spalle e non parlarne più. E l’età di Faye e di mio fratello non c’entra niente! Sono stati vittima di un errore altrui, non fatemi arrabbiare!”. La incontriamo per parlare di The last word, nelle sale italiane per Teodora dal 4 maggio col titolo Adorabile nemica: MacLaine vi recita un portento di donna, alle spalle una grande carriera nel mondo della pubblicità, che assume una giovane giornalista (Amanda Seyfried) affinché le scriva il necrologio mentre è ancora in vita. Lo sceneggiatore Stuart Ross Fink ha scritto la parte pensando a lei, e per MacLaine era importante non deludere le aspettative dello sceneggiatore: “Deludere qualcuno non mi si addice”, dice lei facendo l’occhiolino.

Non crede che gli anziani di Hollywood dovrebbero essere trattati con più rispetto?
“Verissimo, non succede quasi mai, sono quasi invisibili”.

Lei è una delle poche eccezioni: invisibile non lo è certo mai stata. Qual è il segreto della sua longevità professionale?
“Dai tempi di Due vite una svolta del 1977, ho cominciato a proiettarmi nel futuro. Non perché avessi paura di invecchiare: non ho mai avuto i problemi di tante altre attrici mie coetanee. Cioè, non sono mai stata una grande bellezza, un sex-symbol. Quando lo sei allora sì che l’età ti spaventa. Ok, io ero graziosa. Sì, avevo belle gambe, da ballerina. Ma non mi portavo appresso il pesante fardello dell’apparenza. E mi interessava poco essere una star. Sceglievo solo i ruoli interessanti”.

Che necrologio immagina per lei?
“Scriverei: “Finora mi piace di più questa vita!”. Ma lo so, lei mi sta chiedendo qual è il successo come donna che definirebbe la mia vita… Non ne ho idea. Ok, vorrei che il mio necrologio dicesse: “Pensate che sia morta ma non lo sono”. Meglio così? (ride).

Nella vita ha preso tanti rischi. Il più grande?
“Non c’è niente di più rischioso che mettersi su un palcoscenico davanti al pubblico, in teatro sei davvero a nudo. Sono sbarcata a Broadway a 16 anni, come ballerina, e non l’ho certo considerato un rischio”.

Chi è stata la sua mentore, come in “The last word” lei lo diventa per la Seyfried?
Joan Crawford ha cercato di darmi consigli. Che io non ho mai ascoltato. Sono così contenta della nuova serie Feud, con Jessica Lange e Susan Sarandon nei ruoli di Crawford e Bette Davis. Loro sì che avevano il problema dell’età a 50 anni, altro che io a 80″.

Quanto di lei c’è in “The Last Word”?
“Prima vediamo se ha successo. Se ne avrà dirò: c’è molto di me! Le mie origini da ballerina mi spingono a insistere sempre su disciplina e efficienza, ma anche a cercare di rendere tutto facile ed equilibrato. L’etica del lavoro protestante, io da buona discendente irlandese, ce l’ho nel sangue. Se sei nata in piena Grande Depressione, il lavoro non ti spaventa, lo cerchi come fosse un tesoro nascosto”.

“La La Land” evoca un cinema e una sensibilità d’altri tempi, quando lei muoveva i suoi primi passi: ricorda il suo primo provino?
“No, perché praticamente ero la cocca di Hitchcock e non ho mai dovuto affrontare un provino come Emma Stone nel musical. Dovevo solo essere brava sul set. Direi che sentivo ogni mio film un provino per il seguente”.

Lei era molto vicina al Rat pack: Sinatra, Dean Martin, Sammy Davis Jr… Chi era il suo favorito?
“Dean era forse l’uomo più spiritoso che abbia mai conosciuto. Vedeva comicità in tutto. Di Frank ammiravo cuore e talento. Eravamo tutti pronti ad aiutare Sammy quando c’era un problema, come quando perse l’occhio: andammo tutti insieme su un bus in ospedale. Non erano i miei tipi però, il mio tipo era John Wayne! Ma quelli del Rat Pack mi mancano tutti. Molto”.

Oggi come vive?
“Quando sono a casa scrivo, gioco coi miei cani, parlo con amici, guardo il cielo, leggo. La mia casa è piena di vecchie foto che riempiono quello che chiamo il “muro di luce”. Vengono a trovarmi gli amici, si parla di quelle foto e facciamo una meravigliosa cena. Mi piace stare sola. L’isolamento mi ha permesso di risolvere molte cose personali. Mi piace metter ordine nel mio disordine”.

Fama e ricchezza portano gioia?
“Servono a stare comodi, o a trovare i finanziamenti per realizzare film indipendenti e raccontare belle storie umane. Ho una vita molto privilegiata, e credo che fama e ricchezza non mi abbiano mai danneggiata. Però non mi sono mai sognata di considerarle un diritto”.

Il suo prossimo progetto?
“Mi piacerebbe recitare un’insicura convinta di non aver fatto niente nella vita, con un inizio di demenza. Una parte perfetta per me… Le storie ci sono, basta aprire gli occhi e saperle cercare”.

Silvia Bizio, La Repubblica

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